Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 6092 del 9 luglio 2024, ha affrontato una questione rilevante e complessa riguardante l’interpretazione dei sub-criteri di valutazione delle offerte nell’ambito di una procedura di gara pubblica, specificamente riguardo alla distinzione tra “proposte migliorative” e “varianti”. La sentenza si pone in linea con la consolidata giurisprudenza amministrativa, ribadendo i principi fondamentali che regolano la materia.
Proposte migliorative vs. varianti: una distinzione necessaria
Il cuore della controversia risiedeva nella corretta interpretazione del sub-criterio n. 7 del bando di gara, il quale richiedeva la presentazione di “proposte innovative e/o migliorative”. L’appellante sosteneva che tali espressioni potessero includere anche proposte qualificabili come “varianti” rispetto al progetto posto a base di gara. Tuttavia, il Collegio ha rigettato tale argomentazione, ritenendola speciosamente capziosa, e ha chiarito che esiste una netta distinzione tra “proposte migliorative” e “varianti”, basata su consolidate interpretazioni giurisprudenziali.
Definizione delle proposte migliorative
Le proposte migliorative sono soluzioni tecniche che possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti del progetto lasciati aperti a diverse soluzioni. Tali proposte, infatti, non incidono sulla struttura, sulla funzione o sulla tipologia del progetto ma si limitano a integrare, precisare o migliorare aspetti tecnici specifici, rendendo il progetto maggiormente conforme alle esigenze della stazione appaltante. È fondamentale che tali migliorie non alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, mantenendo inalterati i parametri fondamentali stabiliti dalla stazione appaltante.
Le varianti: modifiche sostanziali al progetto
Diversamente, le varianti comportano modifiche dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale del progetto posto a base di gara. Per la loro ammissibilità, è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante che deve espressamente consentire tali modifiche nel bando di gara. In assenza di tale autorizzazione, le varianti non possono essere introdotte, pena l’esclusione dell’offerta.
Argomentazione letterale e sistematica della sentenza
Il Consiglio di Stato ha ulteriormente chiarito che l’interpretazione del sub-criterio n. 7 deve essere condotta secondo un argomento sia letterale che sistematico. Da un lato, l’uso delle espressioni “innovative” e “migliorative” è stato ritenuto come un’endiadi, ovvero un’espressione volta a rafforzare il concetto di miglioria senza modificarne la natura. Dall’altro, la sistematica del bando, che escludeva espressamente le varianti, lasciava spazio unicamente a soluzioni migliorative confermando così l’intenzione dell’amministrazione di non ammettere modifiche sostanziali al progetto originario.
In claris non fit interpretatio
A conclusione della propria disamina, il Collegio ha richiamato il brocardo “in claris non fit interpretatio”, sottolineando che, in presenza di una disposizione chiara e inequivocabile, non è necessaria un’ulteriore interpretazione. La lex specialis di gara, che escludeva esplicitamente le varianti, doveva essere applicata in modo rigoroso, respingendo qualsiasi tentativo di ampliarne il significato mediante interpretazioni forzate.
Questa sentenza riafferma l’importanza di rispettare le prescrizioni del bando di gara e di mantenere una chiara distinzione tra proposte migliorative e varianti. Le stazioni appaltanti e gli operatori economici devono prestare la massima attenzione nel rispettare i limiti imposti dal bando, onde evitare l’esclusione delle offerte per inammissibilità delle varianti non autorizzate. La pronuncia del Consiglio di Stato consolida ulteriormente il quadro giuridico di riferimento, offrendo un importante punto di chiarimento per future controversie in materia di appalti pubblici.